NOTE DEL COLLETTIVO OPERATORI SOCIALI DI NAPOLI PER LA COSTRUZIONE DI UN COORDINAMENTO NAZIONALE

  • March 9, 2014 08:00

La scelta di affrontare, come Collettivo operatori sociali di Napoli, le Politiche sociali prima di tutto in chiave politica è stata dettata dalla lettura dei cambiamenti che il mercato del lavoro ha subito negli anni tra il “Pacchetto Treu” e la legge 30. Fin dal principio è sembrato chiaro che le Politiche sociali fossero il luogo deputato ad una sperimentazione massiva e spregiudicata della cosiddetta contrattazione atipica.

Era evidente la convergenza tra gli interessi del pubblico e del privato sociale nel creare un sistema di servizi che producesse occupazione precaria e a basso reddito di lavoratori assai motivati, in grado di garantire servizi di qualità, ma tali da costituire un humus clientelare per maggioranze al governo e opposizioni.

In questo quadro si collocava l’assoluta assenza del sindacalismo di base ed un coinvolgimento marginale dei confederati, in particolare CGIL e UIL, interessati a settori come l’assistenza domiciliare e il socio sanitario, ma di fatto assenti sul versante precarietà. È dovuto trascorrere del tempo infatti prima che la CGIL facesse propria la categoria “lavoro precario” e non camuffasse la “precarietà” con la “flessibilità” tanto cara ad ex DS e a democristiani “progressisti”.

Secondo noi, la questione del rapporto tra committenza pubblica e privato sociale e, più in generale, del modello economico, di cui quello di welfare è figlio, va affrontato ponendo l’accento sulla precarizzazione del lavoro, perché ad accomunare situazioni assai diverse, dal punto di vista lavorativo e delle garanzie contrattuali, è un progetto, quello di creare intere generazioni precarie dal punto di vista lavorativo ed esistenziale. Il contrasto alla precarietà quindi non può esaurirsi nell’estensione all’intero comparto del CCNL.

Riteniamo infatti che, in un contesto assai eterogeneo, ridurre la piattaforma a questioni che attengono al Contratto contenga un rischio, quello di non includere un pezzo significativo dell’Universo degli operatori, forse quello più significativo della prospettiva politica che ci siamo dati.

A questo punto, però, riteniamo doverosa una precisazione. Il Collettivo non ha nessuna pregiudiziale nei confronti dell’azione sindacale, ma la considera un accessorio o una conseguenza di una visione politica.

Infine, può essere utile chiarire il nostro pensiero relativamente alla natura pubblica delle Politiche sociali.

Abbiamo constatato in questi anni che agitare la bandiera del pubblico o proclamare “bene comune” tutto ciò che ci interessi è cosa facile, quasi sempre condivisibile e altresì utile a guadagnare consensi, ma di per sé può non significare niente o a ben vedere, in alcuni casi, essere addirittura inaccettabile e in odor di reazionario.

C’è chi ritiene che condurre una battaglia (a voler utilizzare un termine nobilitante) sotto l’effige della FP CGIL sia un mezzo per avvicinare gli operatori sociali allo status di “dipendente pubblico” e per abbattere l’odiato privato sociale restituendo per magia alle Politiche sociali la loro natura esclusivamente pubblica. Se così fosse, non ci sarebbe bisogno di un coordinamento nazionale, cosa di cui invece avvertiamo la necessità. La FP CGIL è un sindacato di categoria, una struttura verticale di carattere nazionale; se si fosse posta come obiettivo l’assunzione nel pubblico impiego degli operatori sociali sarebbe sufficiente entrarvi e fare della sua battaglia la nostra battaglia…e viceversa. Purtroppo, al netto di farneticazioni narcisistiche, questa cosa non esiste, perché se esistesse la FP CGIL dovrebbe essere il sindacato più avanzato dal punto di vista della lotta di classe e dell’organizzazione del conflitto di tutta la Confederazione Generale.

Ma questo non è un problema che riguarda solo la CGIL: anche il sindacalismo di base, pur maggiormente sensibile alle tematiche della precarietà, propone azioni e iniziative troppo spesso appiattite sulle questioni contrattuali, dimenticando che quando i diversi fondi nazionali e regionali saranno completamente tagliati e le Politiche sociali torneranno ad essere declinazione dell’evergetismo, nei CCNL ci si potrà scrivere quel che si vuole tanto saranno carta straccia.

Appare un po’ fallace l’assioma che identifica la natura pubblica delle politiche sociali con il CCNL del pubblico impiego. Siamo sicuri che, mentre la società occidentale si riorganizza per fare a meno del welfare state, nostro obiettivo sia eliminare le 17 tipologie di contratto collettivo degli operatori sociali per essere assimilati al pubblico impiego?

Vogliamo e dobbiamo fare una battaglia perché le Politiche sociali restino un bene pubblico, e questo è sicuramente il nostro punto di partenza comune, ma che vuol dire “pubblico”?

Non è la natura giuridica dell’erogatore dei servizi a rendere o meno pubblici i servizi, ma la loro funzione sociale.

Se l’idea di cambiamento radicale è un’azienda pubblica di servizi alla persona, con un consiglio di amministrazione nominato da lavoratori e utenti, si corre il rischio di appiattire la lotta degli operatori sociali su una lotta per il “posto” pubblico.

Il problema non è tanto quello di scegliere tout-court un modello piuttosto che un altro, ma quello di impegnarsi in una lotta per qualcosa di radicalmente e realmente diverso, dato che quello che esiste evidentemente non va bene.

Siamo già molto in ritardo per contrastare l’evaporazione e il quasi azzeramento del finanziamento complessivo della spesa sociale a livello nazionale e locale; non siamo, come segmento di classe, riusciti a esprimere un discorso identitario che non sia l’immagine, ipocrita e cattolica, dell’operatore pietoso che si occupa di casi pietosi; non siamo ancora in grado di definire, dal punto di vista degli operatori sociali, quali sono i livelli essenziali che un contesto sociale deve esprimere per poter assicurare alle persone una vita dignitosa.

Per potersi dare una prospettiva che sia radicalmente altra, forse si dovrebbe partire dall’immaginare quale sia la funzione di fondo delle Politiche sociali, perché se la natura pubblica dei servizi non è una semplice questione di ordinamento giuridico, allora dobbiamo porci il problema di quale sia lo scopo di fondo che un operatore dovrebbe porsi quando si immerge nel cuore caldo delle contraddizioni che il Capitale apre all’interno del tessuto sociale: dovremmo chiederci se la sua mission sia il contenimento o piuttosto la maieutica; se debba ammortizzarli i conflitti o farsi attivatore di coscienze, portatore di consapevolezza presso i suoi utenti; se debba consolarli o svegliarli…ma per poter svegliare i suoi utenti, per poter agire da attivatore di coscienze, l’operatore sociale deve prima risvegliare la propria consapevolezza per individuare la propria coscienza di classe.

Questo ci piacerebbe che fosse il coordinamento nazionale, un soggetto politico che ponga immediatamente la questione del rifinanziamento della spesa sociale, che esiga l’apertura immediata della discussione sui livelli minimi di assistenza e che nel contempo lavori al suo interno per sviluppare un’identità che tenga insieme le differenti realtà delle Politiche sociali ricomponendo quella frammentazione che ancora oggi è la causa della nostra estrema debolezza.

Ci vediamo a Napoli, per affrontare la discussione e continuare la nostra lotta, il 15 marzo 2014 alle ore 15.00 c/o il Laboratorio Okkupato Ska in Calata Trinità Maggiore – nei pressi di piazza del Gesù.

Collettivo Operatori Sociali Napoli