La Piattaforma

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  • April 27, 2014 11:53

Siamo lavoratori e lavoratrici del sociale (assistenti sociali, educatori, oss, psicologi, etc.). Lavoriamo in servizi e progetti educativi, riabilitativi e di sostegno in Servizi rivolti a persone in difficoltà (anziani, disabili, minori, persone con disagi psichici, persone con problemi di dipendenze, adulti in difficoltà, etc). Svolgiamo la nostra attività nell’ambito del sistema organizzato delle risorse sociali, a favore di individui, gruppi e famiglie, per prevenire e risolvere situazioni di bisogno.

Abbiamo costituito, in moltissime città italiane, forme di auto-organizzazione dal basso: sindacati di base, coordinamenti, collettivi per difendere la dignità, la stabilità, la professionalità, i diritti e il senso del nostro lavoro contro le politiche che negli ultimi anni hanno attaccato lo Stato Sociale, creando su vasta scala e a cascata, profondo disagio.

Abbiamo deciso di costituire un Coordinamento Nazionale di gruppi, realtà collettive, singoli lavoratrici/torie delegati di base aperto, democratico e multiforme per coordinare le nostre iniziative fino ad arrivare, attraverso un percorso senza steccati, progressivo e inclusivo ad una dimensione organizzativa nazionale rispettosa delle reciproche differenze, capace di integrare tra loro le esperienze locali, che ci permetta di contestare efficacemente queste politiche.

Affermiamo il bisogno di un’azione che vada oltre la classica vertenza sindacale rispettando chi si impegna in un’azione sindacale autentica, solidale, forte e combattiva che oggi quasi ovunque manca, una azione sindacale capace di far rispettare i diritti che ormai sembrano una cosa del passato, calpestata da tutti.

Affermiamo il bisogno di una azione sindacale autentica, solidale, forte e combattiva che oggi quasi ovunque manca, una azione sindacale capace di far rispettare i diritti che ormai sembrano una cosa del passato, calpestata da tutti.

• Tra il 2008 e il 2013 i  fondi nazionali per le politiche sociali (328/06; 285/97; etc. etc.) hanno subito un taglio netto dell’95% (nel 2008 erano oltre i 2,5 miliardi, nell’anno 2013 sono stati di poche decine di milioni di euro).

• I sempre maggiori ritardi nei pagamenti da parte delle Regioni, delle Province e dei Comuni a cooperative e associazioni costringono queste ultime all’indebitamento per poter pagare gli stipendi, oppure i lavoratori e le lavoratrici a lavorare per mesi senza percepire stipendio.

Tutto ciò si traduce in riduzioni e chiusure di servizi, diritti negati ai cittadini, rischio di disoccupazione per molti lavoratori/trici e peggioramento delle condizioni di vita di tante persone svantaggiate, oltre a problemi che tornano a scaricarsi per intero sulle famiglie.

• Chiediamo il ripristino immediato dei fondi nazionali per la sanità e l’assistenza

A fronte della diminuzione dei fondi statali, molti comuni hanno aumentato l’esternalizzazione dei servizi, ridotto o eliminato i contributi erogati alle famiglie e al terzo settore, hanno aumentato la compartecipazione ai costi dei servizi da parte degli utenti; molte ASL hanno stretto i cordoni della borsa chiudendo addirittura ospedali interi, peggiorando i servizi, il rapporto tra numero di personale e numero di utenti… Ovviamente tutto questo avviene senza che si vadano a toccare altre voci assai meno utili e nobili: le spese militari, le grandi opere come il TAV o l’Expo, la corruzione, gli stipendi favolosi dei grandi dirigenti pubblici, dai ministeri alle ASL agli Enti Locali. Non si toccano i favolosi interessi finanziari delle banche, in settembre il governo ha fatto uno sconto fiscale di 2 miliardi (!!) alle società di gestione di bingo e slot machine, per non parlare dei mille privilegi, evasioni ecc.

La sanità, l’assistenza, i diritti dei cittadini sembrano dunque semplicemente non essere una priorità.

La generazione precedente alla nostra ha avuto la fortuna di una vita abbastanza stabile, data da posti di lavoro abbastanza sicuri e da un welfare che aiutava le persone nei momenti di difficoltà. Questo fu il frutto della sconfitta del fascismo e poi il frutto di continue lotte, anche quando sembravano più difficili come negli anni 50-60. La solidarietà tra lavoratori/trici, studenti, casalinghe ecc. è stata, negli anni ’70-80, così forte da ottenere cose come il Servizio Sanitario Nazionale (che prima non c’era), la chiusura dei manicomi, la scuola per tutti, i contratti di lavoro nazionali (prima c’erano le “gabbie salariali”)…

Invece noi, lavoratori del sociale (e non solo) che oggi abbiamo tra i 25 e i 50 anni, siamo incastrati in un meccanismo infernale che ci condanna sempre più alla povertà e alla precarietà, anche se il nostro lavoro è difficile, faticoso e a volte pericoloso.

Siamo iperqualificati, facciamo continuamente formazioni e aggiornamenti ma se guardiamo ai nostri salarisiamo poco sopra la soglia di povertà (600 euro per l’Istat). Veniamo continuamente lodati per l’importanza del nostro lavoro, ma non godiamo di nessuna considerazione sociale. Senza di noi il Paese non potrebbe funzionare, ma i nostri contratti sono sempre più precari. Svolgiamo una funzione obiettivamente “pubblica”, ma veniamo privatizzati, sfruttati, messi in concorrenza tra noi …e restiamo senza stipendi per mesi e anche anni perché gli Enti non pagano!

Come abbiamo fatto finora ad accettare tutto questo? Fino a quando accetteremo ?

Ci hanno insegnato per anni la che la nostra funzione fosse mediare tra le istituzioni e chi vive il disagio. Ma le istituzioni non danno più risposte né agli operatori né agli utenti, per cui mediare non ha senso: è ora di riaprire un ciclo di conflitti che recuperi la parte migliore di quello vissuto dai nostri padri e madri, fratelli e sorelle maggiori negli anni ‘70.

A partire da questi dati in questi mesi, in tutta Italia, i lavoratori e le lavoratrici del sociale si sono messi in movimento perché c’è urgentemente bisogno di una nuova stagione della solidarietà. È ora di riaprire un ciclo di cambiamenti che sappia riproporre la centralità dei diritti delle persone rispetto ai profitti delle banche.

Il senso del nostro lavoro

Noi crediamo che il nostro lavoro abbia un valore estremamente importante. In questo lavoro, in cui si costruiscono inclusione, relazione e cura, ben-essere, partecipazione, reti sociali, protagonismo dal basso, empowerment diffuso delle persone e dei gruppi sociali, è contenuto il nucleo ideale di un’altra società.

Un’idea essenziale di comunità inclusiva, autogestita ed educante, di una società in cui le persone sono più

importanti della logica del mercato, anzi: in cui lo scopo della vita e dell’economia sia la felicità degli individui, nel rispetto della loro autonomia e della loro libertà.

Un tempo ci occupavamo di sostegno alla crescita e progettualità della persona. Poi ci siamo ritrovati, a causa di sempre minori risorse, ad occuparci semplicemente del mantenimento dello status quo. Attualmente ci troviamo costretti a ridurre il nostro intervento alle emergenze senza poter più dare spazio ad alcun tipo di progettualità.

No alla privatizzazione

Noi lavoratori del sociale, siamo rimasti incastrati in un meccanismo infernale che ci condanna sempre più alla povertà e alla precarietà. Dare i servizi in appalto alle cooperative, in nome di una presunta sussidiarietà, è diventato un sistema per meglio sfruttare le lavoratrici e i lavoratori. I sistematici ritardi nei pagamenti, oltre a definire quale è il rispetto che gli Enti hanno verso il nostro lavoro, arricchiscono solo le banche, che si fanno pagare interessi sempre più alti sui prestiti alle cooperative. Noi lavoratori/trici del sociale ci opponiamo con forza alla privatizzazione delle nostre attività, perché vogliamo continuare a far sì che le nostre siano professioni di aiuto, non strumenti del profitto; perché vogliamo che le prestazioni erogate ai nostri utenti continuino ad essere diritti, non carità graziosamente elargita da una Fondazione bancaria, da un privato o da un Ente religioso.

Siamo lavoratori non missionari

Ci viene richiesta una formazione continua: siamo riqualificati, laureati e specializzati, ma spesso siamo

sottoinquadrati e guadagniamo, a parità di funzione, dal 20% al 35% in meno di un dipendente pubblico. Quasi mai vengono rispettate tutte le norme, regole, diritti, tutele (come nel caso di: notti passive, straordinari non riconosciuti, riposi non rispettati, etc.). Affermiamo con forza di essere pienamente e completamente delle lavoratrici e dei lavoratori del sociale, non dei missionari.

Basta sfruttamento e ricattabilità “per il bene dell’utenza”

Il nostro impegno non dovrà mai più essere usato come un’arma contro di noi. Per troppi anni ci hanno ricattati facendo leva sulla retorica del sacrificio per il bene degli utenti.

In questo modo hanno potuto approfittarsi dei nostri sforzi, scaricando sulle nostre spalle tutte le responsabilità di gestione e di copertura dei servizi.

Questo sistema, con la complicità di alcuni politici, sindacalisti, centrali e cooperative, ha prodotto un fittizio risparmio per lo Stato e gli Enti Locali utilizzato per interessi di lobby particolari e, a volte, personali.

I tagli e i conseguenti risparmi ottenuti dalle politiche di austerity sono stati spesso impiegati in opere e in settori non essenziali rispetto ai bisogni essenziali garantiti dalla Costituzione.

Rifiuto della concorrenza

Noi riteniamo di essere lavoratori del Bene Comune, senza distinzioni. Rifiutiamo la logica della concorrenza, della gerarchia e della competizione, che suddivide i lavoratori del welfare tra dipendenti pubblici e privati, li spezzetta in mille cooperative, associazioni e fondazioni, mettendoli in concorrenza secondo la logica di mercato, a discapito della qualità dei servizi, della dignità del lavoro, dei diritti di lavoratrici e lavoratori e della loro fatica. Bisogna invece fare fronte comune: invece di farsi concorrenza tra di loro le organizzazioni sociali devono unirsi per non accettare più passivamente i tagli che i committenti fanno alla qualità dei servizi e alle condizioni di lavoro. Bisogna cercare alleanze importanti con le associazioni di utenti e le famiglie, raccontando loro tutta la verità, invece di cercare stupidamente di “tenerle buone” facendo solo un favore a chi fa i tagli ai servizi.

Rifiuto dell’autoritarismo

Nel nostro lavoro di tutti i giorni abbiamo imparato che l’unica maniera corretta di lavorare è quella basata su rapporti paritari e negoziali, in cui le persone e i gruppi costruiscono insieme identità e progetto. Per questo rifiutiamo l’autoritarismo in tutti i campi: nei rapporti tra Enti pubblici e soggetti del no-profit, e all’interno del no-profit stesso. Rifiutiamo i trasferimenti punitivi a chi osa sollevare obiezioni, i ricatti continui per costringere le persone ad accettare tagli di salari e orari o condizioni peggiori di lavoro. Tutte queste sono modalità di funzionamento che non sono più partecipative, ma burocratiche e amministrative.

Rifiuto del verticismo

Le cooperative e gli Enti no-profit sono stati gestiti per un trentennio quasi sempre dagli stessi gruppi dirigenti, che con il tempo hanno scelto di stare dalla parte dei committenti, delle istituzioni, delle logiche aziendaliste e privatiste e non dalla parte dei propri soci, delle lavoratrici e dei lavoratori. Ormai questa casta verticista che si è impadronita delle organizzazioni sociali non tutela più né gli utenti né chi lavora, ma difende solo le sue poltrone e le sue amicizie. Rifiutiamo questi metodi e chiediamo una democrazia che non sia solo l’elezione del CdiA ogni tre anni, ma prassi quotidiana, con l’elezione dei referenti/coordinatori da parte delle équipe di lavoro, la discussione nelle équipe dei progetti, degli appalti, dei budget economici, la partecipazione ai “tavoli” con le committenze ecc.

Non accettare più il ritardo dei pagamenti, diritto al pagamento regolare delle retribuzioni di chi lavora

Ormai ci sono numerose leggi e sentenze che stabiliscono che gli Enti pubblici devono pagare i loro debiti entro 60-90 giorni, eppure non succede niente. il ritardo dei pagamenti da parte degli enti pubblici costringe le cooperative ad indebitarsi (rischiando a volte il fallimento) per cercare di far fronte alle spese e al pagamento dello stipendio dei lavoratori.Chi lavora percepisce solo parte della retribuzione spettantegli e con notevole ritardo, non compensato da alcuna maggiorazione e stenta a sopravvivere, a pagare bollette, affitti, mutui, asilo dei figli… Tale indebitamento, sia delle cooperative che dei singoli lavoratori, genera interessi passivi che li impoveriscono e arricchiscono solo le banche, con i nostri soldi!

Per la tutela dei posti di lavoro.

Non è accettabile che vengano prodotti nuovi bandi di appalto che riducano i servizi alla cittadinanza o addirittura prestino i medesimi servizi… ma con meno personale o con inquadramenti e salari più bassi! Questi appalti vanno boicottati in tutti i modi, contestando i politici e i funzionari che li promuovono e le organizzazioni sociali e sindacali che li accettano.

In casi estremi, eventuali perdite di posti di lavoro devono essere ammortizzate utilizzando la cassa integrazione in deroga e i contratti di solidarietà. Ogni posto di lavoro dev’essere difeso!

Per la parità contrattuale e salariale e il rifiuto delle esternalizzazioni

Non è accettabile che lavoratrici e lavoratori del privato sociale vengano retribuiti anche 3-400 euro in meno dei dipendenti pubblici ed abbiano norme contattuali molto peggiori. Non è accettabile che interi servizi o settori gestiti dagli enti Pubblici vengano dati da gestire ai privati mediante appalti, accreditamenti, concessioni o altre forme di esternalizzazione. Questo, lo sappiamo, è solo un modo per peggiorare le condizioni del servizio e di chi lavora, togliendo soldi e tutele. Chiediamo invece regole certe e l’unificazione dei 17 contratti diversi che si applicano nel privato sociale. Tutte le lavoratrici e i lavoratori del settore devono avere un solo CCNL: il contratto del pubblico impiego nelle sue articolazioni della Sanità e degli Enti Locali, perché la nostra è una funzione di pubblica utilità e di pubblico servizio, in cui svolgiamo lo stesso lavoro di un collega pubblico dipendente, anzi : spesso di più!

Come prima misura chiediamo aumenti salariali tali da parificare i contratti del privato sociale a quelli pubblici di pari livello.

Per l’applicazione delle leggi sul lavoro, sempre.

Ultimamente, con una interpretazione truffaldina e autoritaria delle leggi, molti tribunali stanno trasferendo la competenza sulle vertenze di lavoro all’interno delle cooperative dalla sezione “cause di lavoro” a quella “cause societarie”, con la scusa che si tratterebbe di litigi tra soci. Peccato che le cause societarie abbiano un costo altissimo e durino anni. In questo modo si toglie di fatto a chi lavora nelle cooperative il diritto alla tutela legale. Questa prassi deve cessare immediatamente, insieme a quella di usare l’esclusione come forma “astuta” di licenziamento, come stanno facendo alcune cooperative.

Contro la precarietà

Essendosi ormai per lo più trasformate in “aziende come tutte le altre”, grazie al ruolo pessimo dei loro attuali dirigenti, le organizzazioni sociali, purtroppo, non si distinguono per coerenza nemmeno nella lotta contro la precarietà. La forma normale del contratto di lavoro nelle organizzazioni sociali dovrebbe essere quella del tempo indeterminato che – eventualmente – cesserà nel caso cessi il servizio in cui si opera. Per questo chiediamo:

  • che non si usino i Contratti a progetto. Se proprio necessario, l’attuale legislazione prevede forme contrattuali di lavoro subordinato atipiche come i contratti a tempo determinato nel caso in cui vi siano le causali previste dalla legge: picco produttivo, esigenze tecniche, sostituzione di lavoratori come ad es. maternità). Tali contratti permettono a differenza dei contratti a progetto di godere della disoccupazione oltre a garantire una retribuzione pari ai lavoratori subordinati a tempo indeterminato.
  • Che non ci sia nessun tipo di assunzione a termine, a progetto, voucher o altro mentre ci sono lavoratrici o lavoratori in attesa di ricollocazione, in cassa integrazione o altro (come peraltro prescrive la legge).

Contro la giungla dei titoli di studio

Nell’arco di un ventennio la definizione dei percorsi formativi necessari a svolgere il nostro lavoro ha subito tali e tante modifiche da diventare una giungla, soltanto a vantaggio delle baronie universitarie tra le quali, ovviamente, ha fatto la parte del leone il potere medico. D’altronde questo accompagna sia i tentativi di controriforma della psichiatria, la deriva medicalizzante del lavoro sociale, la privatizzazione dei servizi di cura che molto spesso hanno come protagonisti e comprimari interessi privati in ambito sanitario. Noi chiediamo:

  • Una semplificazione dei titoli di studio e l’eliminazione dei doppioni (come le molteplici lauree e titoli da educatore ecc.)
  • Una forte valorizzazione dell’ esperienza maturata nei ruoli e nei servizi
  • La possibilità di fruire di periodi retribuiti per acquisire nuove competenze, specializzazioni ecc.
  • La valorizzazione della dimensione relazionale in ogni ambito dei lavori di cura, a cominciare dagli iter e skill formativi.

Dobbiamo ritrovare la solidarietà tra noi, che è la base del cooperativismo e del lavoro sociale.

Gli operatori sociali rivolgono prevalentemente la propria solidarietà ai soli utenti e poco verso i colleghi e la propria categoria.

Chi lavora nei servizi deve imparare a non sentirsi solo, In tutte le occasioni in cui una équipe o un collega si trova in una situazione problematica, quando le èquipe di lavoro sono investite da perdite o riduzioni di lavoro, quando un/a collega viene preso di mira e/o mobbizzato, quando ci sono litigi nelle équipe… Dovremmo re-imparare a solidarizzare nei servizi, ricordandoci che cooperazione vuol dire solidarietà concreta e fare insieme!

Quando il committente ci sta mettendo sotto pressione, quando istituzioni e sistema delle cooperative sembrano blindati nel negarci salario e dignità… dovremmo re-imparare a solidarizzare tra operatori e operatrici, ricordando che il sociale è di tutti, anzi, che il sociale siamo noi, e che loro possono tenerci sotto soltanto facendosi forti della nostra divisione, passività, paura e della nostra mancanza di solidarietà.

Per la piena applicazione delle regole legali e contrattuali

Troppo spesso le organizzazioni del privato sociale, sia non-profit che profit, invece di rispettare leggi e contratti, si rifanno le regole a loro vantaggio. Secondo la legge 142, i regolamenti interni delle cooperative, le procedure, le direttive non possono andare né contro le leggi, né contro il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro. Invece troppo spesso qesto accade. E’ perciò necessaria una vertenzialità aziendale costante per ottenere almeno il rispetto delle leggi e dei contratti esistenti. Possiamo qui fare solo qualche esempio, perché la casistica è sterminata:

  • Lavoro notturno: l’operatore che svolge la propria attività lavorativa nella fascia oraria compresa tra le 22:00 e le 06:00 dovrà percepire le maggiorazioni corrispondenti e comunque proporzionate alle responsabilità dello stesso. L’applicazine delle cosiddette “notti passive” è illegale.
  • Reperibilità: come in qualsiasi posto di lavoro normale, è previsto dal CCNL che dove ci sia bisogno di reperibilità (es. sostituzioni nei servizi residenziali o semiresidenziali) questa debba essere retribuita 1,55 all’ora per un minimo di 4 ore. La reperibilità non può essere gratuita.

– Cambi di gestione:

  • nelle gare d’appalto deve essere sempre prevista una clausola di salvaguardia corrispondente all’articolo 37 CCNL Coop.Sociali che prevede l’obbligo, per l’ente subentrante, di integrare il personale già operante nel servizio, affinchè tale obbligo sia esteso a qualsiasi tipologia di società vinca la gara.
  • fermo restando l’obbligo di assunzione da parte del subentrante, in caso di modifica e riduzione del capitolato d’appalto, gli operatori in esubero, individuati secondo i criteri di cui alla L. 223/91, dovranno rimanere in carico alla cooperativa uscente, con il mantenimento della retribuzione e di tutti i diritti acquisiti;

Orario, straordinari, banca ore.

  • La cosiddetta “banca ore” è stata prevalentemente utilizzata come strumento per non retribuire integralmente il lavoro delle persone. Pur riconoscendo che spetta ai/alle colleghi/e di ciascuna azienda la decisione sul mantenimento o meno di questa forma, ci sono dei principi inderogabili:
  • Ciascuno/a dovrà essere retribuito per l’orario indicato dalla lettera di assunzione, fermo restando il pagamento del lavoro supplementare e straordinario, anche nelle ipotesi in cui, per carenze organizzative del servizio, presti la propria attività per un monte ore inferiore.
  • Le ore eccedenti il suo orario svolte da un part-time dovranno essere retribuite con la maggiorazione prevista per il “lavoro supplementare”.
  • Eventuali “recuperi ore” sono da effettuarsi su richiesta del lavoratore/lavoratrice in modo concordato e non per scelta unilaterale dell’azienda.

Contratti part-time:

  • nei contratti part-time devono sempre essere specificate in maniera puntuale la collocazione oraria, giornaliera, mensile, annuale della prestazione lavorativa. Tale specificazione permette al lavoratore di organizzarsi e, quindi, di poter svolgere in regime di part-time un’altra attività.La variazione del monte ore del part-time non può avvenire per decisione unilaterale della cooperativa. Un part-time, come da CCNL, deve essere minimo di 12 ore settimanali e 52 mensili;

Sicurezza:

  • deve essere sempre garantita la integrità psico-fisica del lavoratore/trice, sia attraverso misure – obbligatorie per legge – di tutela della salute fisica (ausili, sollevatori ecc.), sia misure di tutela dallo stress-lavoro correlato (monitoraggi, supervisioni ecc.)

Qualità di socio

  • La lavoratrice e il lavoratore devono essere liberi di scegliere se aderire alla richiesta di diventare socio oppure no, senza che questo comporti ricatti o minacce riguardo al posto di lavoro o altro. A questo proposito devono ricevere adeguata informazione.

Riconoscimento come lavoro usurante

il lavoro di relazione con persone sofferenti, svolto spesso in servizi residenziali o semiresidenziali con turni sulle 24 ore è estremamente faticoso e usurante, al punto che in altri paesi europei gli/le operatori/trici possono spesso usufruire di periodi sabbatici e/o di studio e riqualificazione. Chiediamo:

  • Organici adeguati per i servizi;
  • Un rigoroso rispetto delle regole sulla turnazione, gli orari di lavoro, i riposi ecc.;
  • Che si avvi un percorso per il riconoscimento delle caratteristiche usuranti del nostro lavoro con le relative conseguenze.

La piattaforma (4) Siamo lavoratori non missionari

  • March 5, 2014 07:00

Siamo lavoratori non missionari

Ci viene richiesta una formazione continua: siamo riqualificati, laureati e specializzati, ma spesso siamo sotto inquadrati e guadagniamo, a parità di funzione, dal 20% al 35% in meno di un dipendente pubblico. Quasi mai vengono rispettate tutte le norme, regole, diritti, tutele (come nel caso di: notti passive, straordinari non riconosciuti, riposi non rispettati, etc.). Affermiamo con forza di essere pienamente e completamente delle lavoratrici e dei lavoratori del sociale, non dei missionari. 

La piattaforma (3) No alla privatizzazione

  • March 5, 2014 07:00

No alla privatizzazione 

Noi lavoratori del sociale, siamo rimasti incastrati in un meccanismo infernale che ci condanna sempre più alla povertà e alla precarietà. Dare i servizi in appalto alle cooperative, in nome di una presunta sussidiarietà, è diventato un sistema per meglio sfruttare le lavoratrici e i lavoratori. I sistematici ritardi nei pagamenti, oltre a definire quale è il rispetto che gli Enti hanno verso il nostro lavoro, arricchiscono solo le banche, che si fanno pagare interessi sempre più alti sui prestiti alle cooperative. Noi lavoratori/trici del sociale ci opponiamo con forza alla privatizzazione delle nostre attività, perché vogliamo continuare a far sì che le nostre siano professioni di aiuto, non strumenti del profitto; perché vogliamo che le prestazioni erogate ai nostri utenti continuino ad essere diritti, non carità graziosamente elargita da una Fondazione bancaria, da un privato o da un Ente religioso. 

La piattaforma (2) Il senso del nostro lavoro…

  • March 4, 2014 17:43

Il senso del nostro lavoro….

Noi crediamo che il nostro lavoro abbia un valore estremamente importante. In questo lavoro, in cui si costruiscono inclusione, relazione e cura, ben-essere, partecipazione, reti sociali, protagonismo dal basso, empowerment diffuso delle persone e dei gruppi sociali, è contenuto il nucleo ideale di un’altra società.

Un’idea essenziale di comunità inclusiva, autogestita ed educante, di una società in cui le persone sono più importanti della logica del mercato, anzi: in cui lo scopo della vita e dell’economia sia la felicità degli individui, nel rispetto della loro autonomia e della loro libertà.

Un tempo ci occupavamo di sostegno alla crescita e progettualità della persona. Poi ci siamo ritrovati, a causa di sempre minori risorse, ad occuparci semplicemente del mantenimento dello status quo. Attualmente ci troviamo costretti a ridurre il nostro intervento alle emergenze senza poter più dare spazio ad alcun tipo di progettualità.

 

La piattaforma (1) Chi siamo, dove andiamo…

  • March 4, 2014 17:32

Siamo lavoratori e lavoratrici del sociale (assistenti sociali, educatori, oss, psicologi, etc.). Lavoriamo in servizi e progetti educativi, riabilitativi e di sostegno in Servizi rivolti a persone in difficoltà (anziani, disabili, minori, persone con disagi psichici, persone con problemi di dipendenze, adulti in difficoltà, etc). Svolgiamo la nostra attività nell’ambito del sistema organizzato delle risorse sociali, a favore di individui, gruppi e famiglie, per prevenire e risolvere situazioni di bisogno.  Abbiamo costituito, in moltissime città italiane, forme di auto-organizzazione dal basso: sindacati di base, coordinamenti, collettivi per difendere la dignità, la stabilità, la professionalità, i diritti e il senso del nostro lavoro contro le politiche che negli ultimi anni hanno attaccato lo Stato Sociale, creando su vasta scala e a cascata, profondo disagio. Abbiamo deciso di costituire un Coordinamento Nazionale di gruppi, realtà collettive, singoli lavoratrici/tori e delegati di base aperto, democratico e multiforme per coordinare le nostre iniziative fino ad arrivare, attraverso un percorso senza steccati, progressivo e inclusivo ad una dimensione organizzativa nazionale rispettosa delle reciproche differenze, capace di integrare tra loro le esperienze locali, che ci permetta di contestare efficacemente queste politiche.

Affermiamo il bisogno di un’azione che vada oltre la classica vertenza sindacale rispettando chi si impegna in un’azione sindacale autentica, solidale, forte e combattiva che oggi quasi ovunque manca, una azione sindacale capace di far rispettare i diritti che ormai sembrano una cosa del passato, calpestata da tutti.

Affermiamo il bisogno di una azione sindacale autentica, solidale, forte e combattiva che oggi quasi ovunque manca, una azione sindacale capace di far rispettare i diritti che ormai sembrano una cosa del passato, calpestata da tutti.

Tra il 2008 e il 2013 i  fondi nazionali per le politiche sociali (328/06; 285/97; etc. etc.) hanno subito un taglio netto dell’95% (nel 2008 erano oltre i 2,5 miliardi, nell’anno 2013 sono stati di poche decine di milioni di euro).

• I sempre maggiori ritardi nei pagamenti da parte delle Regioni, delle Province e dei Comuni a cooperative e associazioni costringono queste ultime all’indebitamento per poter pagare gli stipendi, oppure i lavoratori e le lavoratrici a lavorare per mesi senza percepire stipendio.

Tutto ciò si traduce in riduzioni e chiusure di servizi, diritti negati ai cittadini, rischio di disoccupazione per molti lavoratori/trici e peggioramento delle condizioni di vita di tante persone svantaggiate, oltre a problemi che tornano a scaricarsi per intero sulle famiglie.

Chiediamo il ripristino immediato dei fondi nazionali per la sanità e l’assistenza

A fronte della diminuzione dei fondi statali, molti comuni hanno aumentato l’esternalizzazione dei servizi, ridotto o eliminato i contributi erogati alle famiglie e al terzo settore, hanno aumentato la compartecipazione ai costi dei servizi da parte degli utenti; molte ASL hanno stretto i cordoni della borsa chiudendo addirittura ospedali interi, peggiorando i servizi, il rapporto tra numero di personale e numero di utenti… Ovviamente tutto questo avviene senza che si vadano a toccare altre voci assai meno utili e nobili: le spese militari, le grandi opere come il TAV o l’Expo, la corruzione, gli stipendi favolosi dei grandi dirigenti pubblici, dai ministeri alle ASL agli Enti Locali. Non si toccano i favolosi interessi finanziari delle banche, in settembre il governo ha fatto uno sconto fiscale di 2 miliardi (!!) alle società di gestione di bingo e slot machine, per non parlare dei mille privilegi, evasioni ecc.

La sanità, l’assistenza, i diritti dei cittadini sembrano dunque semplicemente non essere una priorità.

 

La generazione precedente alla nostra ha avuto la fortuna di una vita abbastanza stabile, data da posti di lavoro abbastanza sicuri e da un welfare che aiutava le persone nei momenti di difficoltà. Questo fu il frutto della sconfitta del fascismo e poi il frutto di continue lotte, anche quando sembravano più difficili come negli anni 50-60. La solidarietà tra lavoratori/trici, studenti, casalinghe ecc. è stata, negli anni ’70-80, così forte da ottenere cose come il Servizio Sanitario Nazionale (che prima non c’era), la chiusura dei manicomi, la scuola per tutti, i contratti di lavoro nazionali (prima c’erano le “gabbie salariali”)…

 

Invece noi, lavoratori del sociale (e non solo) che oggi abbiamo tra i 25 e i 50 anni, siamo incastrati in un meccanismo infernale che ci condanna sempre più alla povertà e alla precarietà, anche se il nostro lavoro è difficile, faticoso e a volte pericoloso.

Siamo iperqualificati, facciamo continuamente formazioni e aggiornamenti ma se guardiamo ai nostri salari siamo poco sopra la soglia di povertà (600 euro per l’Istat). Veniamo continuamente lodati per l’importanza del nostro lavoro, ma non godiamo di nessuna considerazione sociale. Senza di noi il Paese non potrebbe funzionare, ma i nostri contratti sono sempre più precari. Svolgiamo una funzione obiettivamente “pubblica”, ma veniamo privatizzati, sfruttati, messi in concorrenza tra noi …e restiamo senza stipendi per mesi e anche anni perché gli Enti non pagano!

Come abbiamo fatto finora ad accettare tutto questo? Fino a quando accetteremo ?

 

Ci hanno insegnato per anni la che la nostra funzione fosse mediare tra le istituzioni e chi vive il disagio. Ma le istituzioni non danno più risposte né agli operatori né agli utenti, per cui mediare non ha senso: è ora di riaprire un ciclo di conflitti che recuperi la parte migliore di quello vissuto dai nostri padri e madri, fratelli e sorelle maggiori negli anni ‘70.

 

A partire da questi dati in questi mesi, in tutta Italia, i lavoratori e le lavoratrici del sociale si sono messi in movimento perché c’è urgentemente bisogno di una nuova stagione della solidarietà. È ora di riaprire un ciclo di cambiamenti che sappia riproporre la centralità dei diritti delle persone rispetto ai profitti delle banche.